E’ così, quando siamo soli vorremmo avere compagnia, quando siamo con altri, spesso, vorremmo essere soli. In realtà sono due dimensioni umane essenziali in quanto abbiamo bisogno di entrambe per sopravvivere, sia di intimità o di solitaria tranquillità e sia di allegra condivisione. Si integrano.
Beatrice solleva la questione da un particolare punto di vista. E apriamo con questa uscita una nuova categoria che offrirà degli spunti di riflessione sulla nostra società, quella che viviamo tutti i giorni.
A tutti i nostri Lettori e Sostenitori (si direbbe Followers), buon 2019.
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Correre da soli
In questa società, che ci impone la corsa come stile di vita, chi si ferma è perduto.
E’ proprio così o forse, chi si ferma.. si trova, trova se stesso, si chiarisce, trova qualche risposta.
Ci hanno insegnato che bisogna correre per essere in forma, per essere belli e sani.
La corsa è ormai la moda del momento e sedicenti psicologi non hanno visto l’ ora
di stilare il perfetto profilo psicologico di quello che oggi viene definito il runner.
Perché usare termini italiani quando il mondo non vuole più niente di tradizionale?
La parola tradizione fa paura perché mette in campo conoscenze ormai perse e che non si vogliono trovare con il rischio di apparire vecchi.
Il running, correre da soli, è una moda nata in America, ed è ora il consiglio spassionato di tutti i medici portati all’esasperazione da pazienti che non trovano soluzione ai loro mali.
Partiamo alla ricerca di noi stessi scappando …
Con l’ immagine non dello struzzo che nasconde la testa sotto la sabbia, ma questa idea del 2020 (mi piace citare questa data prossima) di forti muscolature che si muovono spinte dal una musica scelta nelle orecchie, verso … un obiettivo mancante.
Ho sempre amato quel breve filmato della durata di circa 22 minuti, presente in internet da quasi 10 anni. E’ il noto “The Butterfly Circus” di J. Weigel.
Quando lo vidi per la prima volta mi fu proposto dall’amico Andrea Mazzon (don) che faceva il parroco nella parrocchia dove abitavo. Piangemmo insieme, apertamente. E io mi commuovo ancora ogni volta che rivedo il film, sapendo già in partenza che è bellissimo che tocca le corde umane più profonde.
Desidero proporlo nel blog proprio oggi, giorno di Natale, perché quanto ci viene trasmesso con le immagini e le sequenze è qualcosa di estremamente bello e “cristiano”.
Questo non è un film sulla disabilità come disagio o sofferenza. Il Circo della Farfalla è un film su “voci e anime”.
Tra i tanti protagonisti del cortometraggio spicca la figura del direttore del circo, il sig. Mendez. E’ interessante come, per sua bocca, venga presentata la metafora della condizione umana.
Mendez – prendo spunto e parole dal blog del giornalista Antonio Socci, indica in Will, uomo senza arti, rappresentato da Nick Vujicic, “un’anima coraggiosissima”. In pratica la “deformità” di Will è l’immagine della nostra povera umanità, l’immagine di ciascuno di noi, inchiodato al proprio limite, alla propria incapacità, alla propria disperazione e solitudine, al proprio peccato, ai propri sbagli, al proprio “non essere amato” e quindi vittima impotente di un mondo crudele che trae guadagni dalle sue mostruosità.
Il racconto infatti si apre proprio sulla crudeltà del mondo, che di questa miseria umana fa spettacolo: “il miglior spettacolo di mostri della città”. Promesse di soldi, dolore e crudeltà, tristezza. E quei poveretti esposti come animali e crudelmente derisi per le loro deformità…
Il personaggio che li presenta al pubblico dichiara: “una perversione della natura, un uomo – se così lo si può chiamare – a cui Dio stesso ha voltato le spalle!”.
La gente incontra Will, tenendosi a distanza, e ne rimane schifata a tratti o stupita. Lo deride e le apostrofa con risate e approcci irrispettosi.
Ma un giorno in quel parco dei cinismi, arriva un uomo diverso da tutti: è il signor Mendez, che ha uno sguardo che lo rende diverso da tutti.
E’ uno stile il suo che va controcorrente: quando ha compassione, quando frena i ragazzini nel loro insultare, quando si toglie il cappello davanti a Will e quando gli dice “tu sei magnifico”. Eppure questo signor Mendez, noto a tutti per le sue stranezze, perché non ripete i riti crudeli di altri direttori di circo, si propone come modello. Ed è così che Will si aggrega a questo circo che esclude i “fenomeni da baraccone”.
E’ contagioso il calore con cui viene accolto Will e traspare dall’accoglienza di Mendez: “non c’è niente di edifcante nell’esporre le imperfezioni di un uomo… noi siamo contenti che tu stia qui con noi e puoi restare finché vuoi, ma io dirigo un altro tipo di spettacolo”.
E quale è il tipo di spettacolo proposto? Continua Antonio Socci: “È lo spettacolo della bellezza, dell’armonia, dell’audacia, dell’abilità umana, della grazia. Lo si vede quando in un villaggio triste e decadente arriva la compagnia del “Circo della farfalla”…. Il “Signor Méndez” annuncia: “signori e signore, ragazzi e ragazze, ciò di cui ha bisogno questo mondo è di un po’ di stupore”. Il “signor Méndez” guarda i suoi artisti incantato e commosso. E sussurra a Will: “splendidi, non è vero? Come si muovono, pieni di forza, colore e grazia. Sono sbalorditivi!” Poi lo scuote bruscamente. Gli fa capire quanto è crudele e ingiusto ciò che pensa di se stesso e gli dice che anche lui può essere come loro. Infatti gli svela qual è la vera bellezza dei suoi artisti: sono tutti dei redenti, sono persone che erano state buttate dal mondo come perduti e perdenti. E sono rinate. Perché il “Circo della farfalla” mostra appunto questo meraviglioso spettacolo: il bruco deforme che diventa bellissima farfalla. Dice il “Signor Mendez” a Will: “se soltanto tu potessi vedere la bellezza che può nascere dalle ceneri”. E’ una possibilità anche per Will. Perché la vera bellezza è quella di chi si lascia amare, di chi accetta la misericordia e “rischia” tutto se stesso in questo amore, L’obiezione di Will: “Ma sono diversi da me” (tipica obiezione di chi si sente più disgraziato e più incapace di tutti gli altri). Ma il “Signor Mendez” rovescia totalmente le sue categorie di giudizio: “Sì. Tu un vantaggio ce l’hai: più grande è la lotta e più è glorioso il trionfo”. E infatti per Will arriva il trionfo. Così il “Signor Mendez”, felice e commosso può annunciare: “I vostri occhi saranno testimoni, in questo stesso giorno di un’anima coraggiosissima”. Non più spettatori di una mostruosità, ma testimoni di una gloriosa rinascita e di un’avventura ardimentosa“.
Un altro compleanno e anniversario. 15° anniversario. Ed è oggi.
Orbene ricordiamo in questa giornata l’associazione di cui facciamo parte: il Gruppo Sociale e Missionario San Giorgio di Poleo Onlus, alias San Giorgio Onlus o Gsm San Giorgio.
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Si tratta di una organizzazione non profit basata sul Volontariato Sociale. Associazione sorta nel 2003 che ha sempre di più realizzato il proprio scopo puntando alla valorizzazione della persona. Lo statuto al riguardo recita (art.6 e 7):”L’Associazione ha come scopo 1. sostenere la beneficenza e valorizzare la persona; 2. assistere e promuovere progetti missionari; 3. collaborazione ed attività nel territorio; 4. attività a favore di progetti nel territorio.”
I Soci fondatori sono stati: Facci Dario, Stimmatini Giovanni, Pante Vittore, Lista Luciano, Dal Cero Danilo, Sbabo Antonio, Baron Sergio, Martini Elio, Dalla Costa Igino,Facci P. Raffaele e Scalco Roberta.
Nel 2003 eravamo in 11 oggi siamo oltre 100 tra soci e simpatizzanti sostenitori.
Un grazie ai Soci fondatori e un grazie a tutti i nuovi che si sono affiancati in questi 15 anni di intensa attività. Un grazie anche ai tanti followers e ai simpatizzanti esterni.
La sede dell’Associazione è a Schio (località Poleo) in via Falgare 35, presso la Casa del Giovane, struttura parrocchiale, per gentil concessione, anche se l’associazione è libera e autonoma.
Con tutte le parrocchie del circondario e con diverse istituzioni nonché enti, associazioni e cooperative, San Giorgio Onlus è in rete con diverse collaborazioni e partenariati.
Chiudiamo con questo pezzo il “festeggiamento” di un impegno, piccolo se si vuole visto che sei anni non sono tantissimi, ma grande nelle idealità espresse spiritualmente e concretamente dal gruppo coinvolto, perché in questi sei anni grandissima è stata l’intensità nello scambio da persona a persona da anima a anima. Lo stesso nella vita di gruppo.
Se poi si è anche riusciti a mettere in grado le persone di crescere nella propria autonomia, ed è successo stando alle evidenze in nostro possesso, allora la festa è ancora più grande, come ci insegna Mendez, direttore del circo, nel famoso filmato “The Butterfly Circus“, ecco il link: https://www.youtube.com/watch?v=OYozbkt026I (un pezzo uscirà al riguardo a breve).
Ma cos’è oggi il Punto d’Incontro San Giorgio?
E’ sempre di più uno spazio di incontro tra persone, uno spazio di ascolto e di condivisione.
E’ una situazione di libertà in cui esprimere i propri disagi anche profondi, certi di essere compresi, accettati e sostenuti. Di certo non giudicati e non diretti, ma semmai affiancati perché ognuno possa trovare in autonomia le proprie strade e soluzioni.
La posizione del “centro” e dei suoi operatori volontari si rifà a quell’orientamento secondo cui, quando una persona si trova in difficoltà, o vuole semplicemente crescere, il miglior modo di offrirle aiuto non è quello di dirle che cosa fare, quanto piuttosto aiutarla a comprendere la sua situazione e a capire come gestire il problema del momento.
Proseguiamo l’editoriale di lunedì scorso usando le immagini che testimoniano, solo in parte, l’attività interna di formazione, che è stata e sta alla base della nostra attività.
Vi si ripercorrono gli inizi, una periodo intermedio e i giorni nostri.
All’inizio si è molto lavorato su noi stessi come persone e sull’approccio all’ascolto autentico donando all’altro la massima attenzione possibile (persona al centro).
Inoltre si è lavorato sui valori fondativi e motivazionali e questo grazie all’aiuto di Renata Novello, nostra cara amica e formatrice, che purtroppo è mancata qualche tempo fa.
Nel periodo intermedio abbiamo proseguito sui temi tipici presenti nelle relazioni, assertività, metodi e strumenti per favorire l’ascolto e il dialogo, comunicazione autentica, consapevolezza ed emozioni, questo grazie all’aiuto di due amiche e formatrici Luciana Dalla Valle e Lidia Lazzaretto.
Infine ai giorni nostri abbiamo attivato importanti momenti di “supervisione”, di formazione interna e ed esterna, nonché una attività di revisione organizzativa, tutto ciò grazie ai coordinatori del gruppo, a Lidia e alla nostra amica e psicologa-psicoterapeuta Annamaria Savegnago.
Gianni Faccin
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Gli inizi: tutto il gruppo con Renata Novello durante uno dei corsi formativi
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Periodo intermedio: alcuni membri con Luciana Dalla Valle durante il corso sulle “riformulazioni nei colloqui” (non c’é Lidia perché sta fotografando)
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II volontari durante alcuni focus group:
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Ai giorni nostri: una parte del gruppo con Annamaria Savegnago durante una sessione di supervisione
Noi del Punto d’Incontro San Giorgio siamo oggi 21 volontari provenienti da diversissime esperienze e da distinte professionalità. La maggior parte è del quartiere di riferimento, ma vi sono anche presenze da fuori quartiere.
Come dice l’intitolazione di questo pezzo abbiamo passato 6 anni in mezzo al disagio, avendo incontrato oltre 200 persone con le situazioni più disparate, spesso anche disperate. Abbiamo passato 6 anni anche nel cambiamento continuo, talvolta impercettibile e in alcuni casi difficoltoso, sofferto e difficile da accettare. Cambiamento di scenario sociale ed economico, dei valori e della cultura. Cambiamento nelle persone che sono nel bisogno e anche cambiamento in noi stessi.
Chi del gruppo ha iniziato nel 2012 non è più la stessa persona. Anche il gruppo è cambiato e diversi componenti hanno lasciato per seguire altre strade, lasciando comunque spazio a molte persone nuove.
Posso dire che di tutto ciò ne abbiamo sempre fatto un punto di crescita e di opportunità, come gruppo e come singoli, e questo grazie all’unità tra noi operatori che è stata ed è la vera forza che ci sostiene.
Ora lasciamo parlare le immagini che i questa pubblicazione si rifanno all’inaugurazione del centro, l’8 dicembre 2012. La data fu stabilita dall’allora parroco don Andrea Mazzon, il cui desiderio era, trovandoci un nesso importante, far coincidere l’evento assolutamente laico con la festività dell’Immacolata.
Sesto compleanno in verità, visto i 6 anni di ascolto.
Ascolto profondo e autentico. Ascolto delle persone e della comunità al tempo stesso.
Oggi ricorre il compleanno dell’inaugurazione del nostro “Punto d’Incontro San Giorgio”.
Esattamente 6 anni fa, l’8 dicembre 2012, si inaugurò a Poleo (Schio – Vi), presso la ex-canonica, un centro di primo ascolto che fu al tempo, come è ancora oggi, un centro innovativo nell’ambito della relazione d’aiuto e del lavoro di comunità. Un centro di operatori volontari formati dedicati esclusivamente all’ascolto delle persone.
In questo mese di dicembre pubblicheremo nel nostro blog una serie di editoriali e di foto inedite riguardanti l’inaugurazione e l’attività del centro.
Ecco sotto la foto che ritrae il momento comunitario dell’inaugurazione.
E’ possibile realizzare un codice di regole per divenire buoni ascoltatori?
Ci ha provato la scrittrice Marianella Sclavi che ha puntualizzato in 7 punti l’arte dell’ascolto. Eccoli di seguito. A seguire un commento del nostro amico Gianluigi Coltri, scrittore e blogger, che sa ben utilizzare la regola n. 7.
“Regole dell’Ascolto:
1 – Non avere fretta di arrivare a delle conclusioni. Le conclusioni sono la parte più effimera della ricerca.
2 – Quel che vedi dipende dalla prospettiva in cui ti trovi. Per riuscire a vedere la tua prospettiva, devi cambiare prospettiva.
3 – Se vuoi comprendere quel che un altro sta dicendo, devi assumere che ha ragione e chiedergli di aiutarti a capire come e perché.
4 – Le emozioni sono degli strumenti conoscitivi fondamentali se sai comprendere il loro linguaggio. Non ti informano su cosa vedi, ma su come guardi. Il loro codice è relazionale e analogico.
5 – Un buon ascoltatore è un esploratore di mondi possibili. I segnali più importanti per lui sono quelli che si presentano alla coscienza come al tempo stesso trascurabili e fastidiosi, marginali e irritanti perché incongruenti con le proprie certezze.
6 – Un buon ascoltatore accoglie volentieri i paradossi del pensiero e della comunicazione. Affronta i dissensi come occasioni per esercitarsi in un campo che lo appassiona: la gestione creativa dei conflitti.
7 – Per divenire esperto nell’arte di ascoltare devi adottare una metodologia umoristica. Ma quando hai imparato ad ascoltare, l’umorismo viene da sé“.
(Marianella Sclavi, “Arte di ascoltare e mondi possibili”, Bruno Mondadori, 2003)
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Tre anni fa ho scritto di questo libro, quasi un classico ormai nel suo genere, commentando a puntate le prime tre regole delle sette nelle quali M. Sclavi ha voluto schematizzare l’arte dell’ascolto.
L’ascolto: che ce ne sia un gran bisogno, in circolazione, non occorre quasi che lo sottolinei. Che chi pensa di essere un buon ascoltatore (e lo sbandieri magari ai quattro venti), e sia quasi mai uno che veramente sa ascoltare, anche questo è scontato. Che chi dovrebbe, ai livelli più alti, dare il buon esempio e invece si distingua per i “me ne frego”, anche questo è tristemente ovvio. E allora perché ne parlo?
Perché ho ascoltato, da non so chi e non so dove, una battuta simpatica che mi è rimasta in mente: la mia vita non è granché, è meglio quella degli altri, m’interessa di più quella altrui. Forse non è solo e non tanto altruismo, è anche noia.
Già, per combattere la noia di se stessi (io, io, io, sempre io… che barba), non vale la pena di lasciare la porta aperta agli altri?
Il primo passo, insieme con l’accoglienza, è l’ascolto. Anche solo per curiosità, come facciamo con i libri.
Sono spesso proprio gli spot pubblicitari, guarda caso provenienti dagli operatori di comunicazione o di viaggio, che ci insegnano, che ci emozionano, indicandoci la via d’uscita alle nostre attese. E’ il caso recentissimo dello spot SAS.
Basta ritrovarci nel viaggio, nel nostro viaggio, per poter anche noi entrare nel flusso.