I silenzi possono urlare

“Ascoltare vuol dire capire ciò che l’altro NON dice.”  

(Patrice Ras)

 

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È sicuramente difficile sentire parole che non vengono pronunciate!

Ma, secondo me, dobbiamo in primis distinguere il verbo SENTIRE dal verbo ASCOLTARE.

Il nostro sistema uditivo è coinvolto in entrambe le azioni, ma con una grande differenza. Mentre sentiamo solo l’udito partecipa all’azione; mentre ascoltiamo, oltre all’udito, altre funzioni cognitive devono essere necessariamente messe in moto. Sentire le parole che ci vengono dette non significa ascoltare.

Ascoltare significa  “prestare attenzione”.

Per farlo è necessario capire il tono, le parole con cui si esprime una persona, cogliere l’emozione con cui condivide il suo stato d’animo, dare attenzione ai piccoli gesti e al suo modo di porsi. Per ascoltare dobbiamo insomma usare anche gli occhi, il cuore e la mente.

Spesso la parola che viene taciuta è molto più importante della parola che viene detta.

Penso che i silenzi, a volte, possano urlare!

Non tutto è dicibile ed esprimibile, perché c’imbarazza, si prova vergogna o perché si ha paura del giudizio degli altri. Ma ciò che non viene detto provoca sicuramente un’emozione e se stiamo “ascoltando” una persona con gli occhi e col cuore possiamo almeno intuire che … vorrebbe ma non dice.

Quante volte sarà capitato con i nostri figli, con i nostri compagni o con gli amici di vederli rabbuiati e chiedere loro, magari anche insistentemente, di confidarsi con noi. Possiamo e sappiamo essere attenti ed empatici con chi abbiamo vicino e, anche se non proferisce parola, avvertiamo che qualcosa non va.

Certo è più difficile riuscire con persone che conosciamo poco, ma già intuire che viene taciuto qualcosa può essere un modo per cercare di aiutare a riempire quel silenzio con parole ed emozioni e cominciare così a capire ciò che l’altro non dice! 

Sentire è facile perché esercizio dell’udito, ma ascoltare è un’arte perché

si ascolta anche con lo sguardo, con il cuore, con l’intelligenza” (Enzo Bianchi).

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Annamaria Sudiero

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Rete di Comunità

Diamo inizio al mese di settembre e, quindi, alla graduale piena attività dei centri di ascolto con un aggiornamento di quella che vogliamo considerare la “nostra rete” e con una precisazione sul suo significato.

Da anni ci interessiamo al concetto di Rete. Soprattutto ci siamo impegnati a sperimentarlo. Dal concetto di Rete si passa in breve alla Rete sociale che non è altro che l’insieme di interazioni tra varie persone.

Rete sociale o di comunità “… non è solo un concetto utilizzato per meglio descrivere ed interpretare la realtà, ma anche uno strumento di intervento, soprattutto nel lavoro dei servizi sociali, sanitari e di comunità in generale”.
Ecco allora il lavoro di rete, termine con cui “si intende l’azione perseguita di un operatore, o anche di più operatori congiuntamente, che si esplica in una relazione
con una rete di persone, cioè con altre relazioni preesistenti o potenziali, migliorando in tal modo la reciproca qualità e la reciproca capacità di azione. L’operatore di rete è colui che, per professione e in forza  di un mandato, si pone come guida relazionale all’interno di un assetto di rete, assumendo una posizione intermedia tra reti primarie e secondarie, accompagnando i singoli e le reti come totalità nella promozione e nello sviluppo di relazioni orientate al bene comune, sostenendo lo sviluppo delle reti verso la condivisione e l’autonomia”.

Nel nostro agire abbiamo contribuito a tessere nel tempo una serie di relazioni di fiducia e di collaborazione, con persone, con gruppi-associazioni o enti. Assumendo se necessario per mandato o per emergenza anche un ruolo di guida relazionale.

Abbiamo una nostra rete di relazioni che opera in comunità ampia (territorio del quartiere di riferimento e territorio comunale).

Stiamo in questi tempi vivendo una fase di aggiornamento e di consolidamento che se vogliamo focalizzarla con una immagine è ben rappresentata sotto.

E’ un po’ un nuovo punto di partenza che, contiamo, accoglierà nuove collaborazioni autentiche.

Sempre in ricerca dunque! Da qua ripartiamo.

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Redazione DimmiTiAscolto

 

Sinergia zero

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Fonti e spunti:

  1. AAVV, Reti di Comunità – Dossier 9/6/2015 Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia;
  2. P. Amerio, Psicologia di comunità, il Mulino, Bologna;
  3. P. Donati – F. Folgheraiter  (a cura di), Gli operatori sociali nel welfare mix, Ed. Erikson;

 

Insieme nell’Ascolto delle Persone 4-

Siamo in sinergia con un altro importante gruppo che opera a Schio. In forte sinergia.

Niente male come attività sviluppatasi nella fase estiva di quest’anno. Invero è stata voluta, cercata e costruita nel tempo grazie al desidero di molti Volontari del gruppo di riferimento (Punto d’Incontro San Giorgio) e del Gruppo S.Cuore della S. San Vincenzo De Paoli (già denominato Abbi cura di Lui).

Radici in Società San Vincenzo De Paoli e collaborazione con UP Schio Ovest (Poleo-S.Caterina-Sacro Cuore) ben rappresentano da diversi anni anni un’importante iniziativa di aiuto materiale verso persone nel disagio.

La stretta collaborazione si è concretizzata nel fondere insieme aiuto materiale e aiuto morale tramite “accogliere le persone nella loro individualità e globalità”, senza fermarsi all’aiuto materiale, per quanto importante, ma cercando di andare oltre.

Significa intavolare, liberamente, con le persone nel disagio, talvolta disperato, dei dialoghi di speranza e di stimolo per affrontare le situazioni problematiche non in solitaria, ma con un affiancamento rispettoso e costruttivo, a partire dalle emergenze concrete.

Abbiamo svolto una particolare azione congiunta e mirata dal febbraio 2018. In questi 6-7 mesi (febbraio – agosto) abbiamo visto,preso in carico insieme e condiviso nelle analisi e valutazioni 18 situazioni.

Nei prossimi mesi saremo in grado di “valutare” anche l’impatto della nostra azione.

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Redazione DimmiTiAscolto

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Sobrietà

In questo agosto che per molti umani significa anche riposo, riflessione e ricarica, prendiamo spunto per portare all’attenzione dei lettori una virtù come la Sobrietà grazie al contributo, già pubblicato su varie testate, di Alberto Leoni  download, figura di spicco nella sanità dell’Alto Vicentino. Psicologo e psicoterapeuta, è stato Direttore dei Servizi Sociali dell’Ulss 4 Alto Vicentino dal 2001. Ha svolto gran parte della sua attività professionale in qualità di dirigente sanitario, nelle aree socio sanitarie della disabilità, della salute mentale, nelle dipendenze. In particolare è stato coordinatore dell’attività del centro occupazionale, referente tecnico del Centro Riabilitativo del Centro di Salute Mentale, referente tecnico del piano triennale della Legge 285/1997, dirigente dell’area famiglia, responsabile dell’Unità Operativa “Programmazione Socio-Sanitaria”.

Prendiamo da un suo pezzo pubblicato di recente in alcuni quotidiani in cui ci viene proposto un confronto tra Sobrietà e Smania del Nuovo. Leoni lo fa con una rilettura di uno storico testo di Alvise Cornaro – Vita sobria (1558) – a confronto con gli scritti e i pensieri di Papa Francesco – “Cercate di essere liberi nei confronti delle cose. Così come è necessario il coraggio della felicità, ci vuole anche il coraggio della sobrietà” – del filosofo Marcello Farina – Si potrebbe dire che essa abita la terra del «piccolo», è il credere che i tesori sono nascosti nello spazio dei «piccoli», e crederlo testardamente, a dispetto di una “numerosa razza di odierni «scavatori», che persiste a cercare tesori altrove, presso i grandi, all’ombra dei potenti, tra trono e altare” – e infine dello scrittore svedese Cristopher Carlson – “…Se pensi che di più sia meglio, non sarai mai soddisfatto … ricordati che anche se ottieni quello a cui stai pensando, non sarai più soddisfatto di prima, perché continuerai a desiderare sempre di più…“.

Essere sobri, in che senso? Ecco:

“”La sobrietà, infatti, non è solo una limitazione più o meno volontaria dei beni terreni, che pure è necessaria se non si vuole distruggere il mondo, ma è uno stile di vita, improntato sulla semplicità e sul rispetto verso gli altri. È il contrario di quell’autonomia radicale per cui ci si permette tutto, ignorando ed a volte calpestando i diritti e le libertà del prossimo. La sobrietà non è virtù che riguarda unicamente i beni e le ricchezze; è virtù che tocca l’interezza dell’anima e della vita, quella personale, quella civile.


La sobrietà aiuta a costruire la giustizia, perché decide e sceglie secondo un’equa misura ed è rispettosa dei diritti e soprattutto dei doveri che si hanno verso il prossimo. Chi agisce con sobrietà (versione aggiornata della virtù cardinale della temperanza) non è smodato, eccessivo, ingordo, sregolato, ma si gode la sua semplicità in tutto, perché sa ridurre, recuperare, riciclare, riparare, ricominciare.
La smania del nuovo“, invece, è quella che spinge a voler ricercare qualcosa che non si sa che cosa sia, a non accontentarsi mai di quello che si ha già, a non godere fermamente delle cose fatte. Tutto ciò contiene i semi dell’infelicità e rende estremamente complesso il vivere quotidiano. Anche il continuo bombardamento sensoriale, che la società dei consumi effettua rende dipendenti dalle novità. Presumibilmente bisognerebbe rieducare i sensi con le strategie pedagogiche della Montessori “… Noi dunque possiamo aiutare lo sviluppo dei sensi… graduando e adattando gli stimoli…“.
D’altra parte, il volere più di quello che si ha è un’esigenza legittima dell’essere umano, laddove essa è fonte di un miglioramento della qualità della vita. La trappola scatta quando si desidera di più senza godere appieno di quello che nel frattempo si è raggiunto.

Alla luce di ciò, il nostro benessere passa attraverso una riscoperta della sobrietà e della semplicità, che consentono di apprezzare quello che si è, quello che si ha e quello che si fa. Si scopre così nella frugalità l’origine delle propria grandezza. “Temo un uomo dal discorso frugale….temo che egli sia grande…” (Peter Dickinson)””.

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Alberto Leoni

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Utilità dell’Orgoglio

Quando uno viene da te e ti chiede aiuto, devi agire come se in tutto il mondo ci fosse uno solo che può aiutare quell’uomo: tu … “.

Oggi ringraziamo Gianluigi Coltri photo, che ospitiamo spesso in questo blog. Proponiamo una sua recensione di luglio riguardante uno scritto di M. Buber, pubblicata nella sua newsletter personale.

Eccola di seguito.

E’ interessante “questa vecchia edizione della straordinaria raccolta messa insieme da Martin Buber (1878-1965), grande voce dell’ebraismo. … E’ la ripresa di un libro che periodicamente, in questi quarant’anni, mi ha accompagnato, con risonanze diverse a seconda dello trascorrere del tempo.
Ma il frammento che mi piace di più resta sempre quello che vi propongo oggi: come orgoglio e ateismo possono trovare presso Dio un significato. Tutto parte dalla concezione che Dio ha fatto bene tutte le cose, dunque anche quelli che a noi sembrano difetti, possono riscattarsi e cooperare per il riscatto. Detto in altre maniere: non c’è un dualismo vita/morte o peccato/grazia, ma è come se tutto venisse ricondotto ad un’unità e quest’unità è il bene.
Pensieri forti, ma anche ironici, divertenti, problematici, spiazzanti: Buber raccolse nel suo libro la saggezza e la sapienza dei vecchi rabbini, vissuti tra il XII ed il XVII secolo, nella grande area dell’Europa centrale. In contrasto a volte con il pensiero ebraico dominante, questi hassidim o chassidim mostrano, nelle loro storie e nelle loro sentenze, una straordinaria efficacia. Più della riflessione teologica o del formalismo religioso, nei loro detti la vita si confronta con la Bibbia, sempre con fervore ed entusiasmo“.
Eccoci al frammento citato:
“”Rabbi Moshe Loeb diceva: “ Non esiste qualità o forza nell’uomo che sia stata creata inutilmente. E anche tutte le qualità basse e malvagie possono essere sollevate al servizio di Dio. Così per esempio l’orgoglio: quando viene elevato si muta in nobile coraggio nelle vie di Dio. Ma che sarà stato creato l’ateismo? Anch’esso ha la sua elevazione nell’atto di pietà. Poiché quando uno viene da te e ti chiede aiuto, allora tu non puoi piamente raccomandargli “abbi fiducia e rivolgi la tua pena a Dio”, ma devi agire come se non ci fosse Dio, come se in tutto il mondo ci fosse uno solo che può aiutare quell’uomo: tu solo “”.

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Fonti

  • Martin Buber, “I racconti dei Chassidim”, Garzanti, 1979)
  • Gianluigi Coltri, Newslettr Gianluigi Coltri, “Libro” -uscita del 26/7/2018)

 


 

Gli alberi come Persone

Gli alberi sono spesso descritti come persone in carne e ossa, come amici fedeli che meritano il più grande rispetto, come compagni di vita che in ogni stagione offrono, per lo stupore di chi li contempli, l’immagine di una natura meravigliosa e in continuo mutamento.

E’ il caso dei brani raccolti nei diari di Henry David Thoreau. Qui l’ascolto degli alberi, nelle loro varie specie e nel rincorrersi delle stagioni, induce ad entrare in se stessi e ad interrogarsi sulla bellezza, ben incarnata dalla natura, e sul nostro rapporto con l’Universo.

Ecco una testimonianza tratta da Diario, 31 ottobre, 1858.

L’altro giorno, dopo aver camminato un paio d’ore per i boschi, sono arrivato alla base di un alto pioppo tremulo, che non ricordo di aver visto prima, erto in mezzo ai boschi del paese vicino, ancora fitto di foglie mutate in un giallo verdastro. È forse il più grande della sua specie che io conosca. È stato per puro caso che mi ci sono imbattuto, e se fossi stato mandato a trovarlo mi sarebbe sembrato, come si dice, di cercare un ago in un pagliaio. Mi è rimasto nascosto tutta l’estate, e probabilmente per tanti anni, ma ora, salendo in una direzione diversa sulla stessa collina da cui ho visto le querce scarlatte, e guardandomi in giro appena prima del tramonto, quando tutti gli altri alberi visibili per miglia sono rossastri o verdi, distinguo il mio nuovo amico dal suo colore giallo. Ha raggiunto la fama, finalmente, e la ricompensa per aver vissuto in tale solitudine e oscurità. È l’albero che si distingue di più in tutto il panorama, e agli occhi di tutti sarebbe il centro dell’attenzione. Così ricopre il suo ruolo nel coro.

È come se anche lui mi avesse riconosciuto, e con piacere, venendomi incontro a metà strada, e ora l’amicizia nata in modo così propizio sarà, io credo, perenne.

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Fonti:

  1. Ascoltare gli alberi, Henry D. Thoreau, EBook

 

Le Persone come alberi, fiori e frutti …

Le Persone possono essere viste come alberi, fiori e frutti.

Un noto filosofo ha scritto:  “Gli esseri umani sono paragonabili a fiori o a frutti… Entrando in relazione con loro, guardandoli, parlando con loro, ascoltandoli, sui piani sottili li si può respirare e anche assaporare: sono come un nutrimento.

Ora, il più delle volte, cosa fanno le persone incontrandosi? Si fermano agli abiti, ai gioielli, al viso, alle mani, alle gambe… Non cercano di nutrirsi di tutta la vita che è lì, nascosta negli esseri, la vita che emana dal loro cuore, dalla loro anima e dal loro spirito, ed è un vero peccato! 

Perciò, d’ora in poi siate più attenti, imparate ad apprezzare gli esseri umani, che sono portatori di quella vita. Fermatevi davanti a loro, pensando: Grazie!“.

(Omraam Mikhaël Aïvanhov)

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Occhi negli occhi

Festeggiamo questo Ferragosto del nostro blog con un testo scritto da un noto cantautore e che ben si attaglia al nostro pezzo uscito ieri: “Incontrare“.

Roberta Radich ha ben evidenziato come incontrare l’altro si abbeveri necessariamente di empatia, quel modo di essere che prevede appunto “occhi negli occhi“.

Ecco parte del brano di Riccardo Cocciante.

Cercare gli occhi con gli occhi e dentro gli occhi cercare … Con l’occhio nudo di chi non ha prudenza di sé e dice tutto com’è, la sofferenza e la gioia e la distanza si fa immensa intimità. Li vedi gli occhi con gli occhi negli occhi ma…

Ma poi non bastano gli occhi e non ti basta il pensiero e vuoi la voce all’orecchio e vuoi toccare con mano e vuoi vedere che vedi ad occhi chiusi tu …

Li vedi gli occhi con gli occhi negli occhi ma…

Cercare gli occhi con gli occhi e dentro gli occhi cercare …

che con lo sguardo lo fai tra gli occhi e gli occhi suoi

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Incontrare

In-con-tra-re, dal latino tardo incontrare, derivato dell’avverbio incontra.

(A cura di Gianni Faccin)

E’ interessante ritornare su questo verbo all’apparenza non importante, anzi banale e che invece muove tutta una serie di valori. Si dice in “unaparolaalgiorno.it“, che osservare parole come questa permette di recuperare quello spirito di quando da bambino smonti un cuscinetto a sfera per capire come funziona. Sappiamo che cosa vuol dire questo verbo con una certa precisione, dopotutto lo usiamo ogni giorno. Ma trovarci la meraviglia non è difficile.

Incontrare. Siamo davanti a due enti, due forze, di cui almeno una si muove verso l’altra (etimologicamente, ‘contro’), e che comunque l’una verso l’altra sono rivolte. Il bello è che non cozzano. Convergono in un luogo comune, si soffermano. Perciò quello che potrebbe parere un moto schiettamente aggressivo non lo diventa per forza, anzi. Perfino i pugili che si incontrano sul ring (e che in effetti se le danno sode) lo fanno in un contesto di sportività, quasi di cavalleria. Figuriamoci se poi ci allontaniamo da situazioni del genere: l’incontrare e l’incontrarsi esprimono nella maniera più trasparente il loro senso di confronto, di contatto, per quanto spesso accidentale, non programmato – abbracciando sfumature che vanno da quell’affrontare fino all’imbattersi. Pensiamo a quando incontriamo lo sguardo della persona che ci fa venire la testa leggera; pensiamo a quando ci incontriamo in spiaggia più o meno sempre alla stessa ora; pensiamo al piatto che incontra davvero il nostro gusto.

Fin qui l’incontro viene generalizzato. Ma incontrare le Persone non è circostanza del tutto speciale?

Ci sono di mezzo sia razionalità che emotività.

Dice O. M. Aivanhov images (1): “Quando due persone si incontrano, il primo giudizio che esprimono l’una riguardo all’altra è generalmente dettato da un moto istintivo di attrazione o di repulsione… Si può anche dire di simpatia o di antipatia, ma comunque non è il ragionamento ad arrivare per primo. E dato che si trovano simpatiche, subito, senza riflettere a fondo, intrecciano dei legami. Il ragionamento viene dopo, quando constatano di essersi sbagliate; a quel punto, però, è un po’ tardi, e quante difficoltà incontrano per superare le loro delusioni!
La stessa cosa avviene per l’antipatia. Fin dal primo istante una persona non vi piace, e la evitate. Poi un giorno, per caso, scoprite che essa possedeva grandi qualità; voi, però, non avete saputo riconoscerle in tempo, e avete perso una relazione che avrebbe potuto darvi molto. Allora, è meglio non fidarsi troppo dei propri sentimenti di simpatia o antipatia. Fin dall’inizio, l’osservazione e il ragionamento devono intervenire per dire la loro.

E l’Empatia? E’ fondamentale?

Dice R. Radich,  robertaradich traendo spunto dalle svariate esperienze formative condotte e vissute: “La forza dell’incontro e dell’empatia. La chiave per contrastare la sistematica costruzione dell’odio risiede nel creare le condizioni migliori per far incontrare, non le idee costruite per separare, ma le persone. Occhi negli occhi, mani nelle mani, storie che si intrecciano. Visto molte e molte volte“.

Ne possiamo trarre che l’incontrare vero e autentico è fatto di concreta convergenza tra due persone che cerchino di emarginare pregiudizio e giudizio – offrendo spazio equilibrato ad antipatia o simpatia, lasciando che osservazione e ragionamento dicano la loro, ma senza concludere. L’accoglienza empatica diventa invece indispensabile in modo che – vi sia un rispettoso intreccio di esistenze ed esperienze, e vi sia così trasformazione nelle persone.

Occhi negli occhi, appunto.

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Fonti: citate nel testo


 

 

 

 

Lutto = …

Senza andare a cercare testi importanti troviamo facilmente una buona definizione nel web (Wikipedia).

Il lutto è il sentimento di intenso dolore che si prova per la perdita, in genere, di una persona cara. Il costrutto teorico di lutto presenta rilievi di notevole rilevanza sia in ambito psicologico sia antropologico.

Abbiamo poi il cosiddetto “lutto complicato“, ossia il lutto la cui elaborazione viene interrotta, profondamente rallentata o cristallizzata, per l’impossibilità sostanziale di accettare il significato emotivo della perdita relazionale; in tal caso, quello che è il disagio o il dolore emotivo (anche acuto) che accompagna normalmente ogni lutto, può ampliarsi fino ad assumere forme gravi. Si tratta comunque di un’evenienza piuttosto rara: non si deve infatti scambiare lo stato di pur acuta sofferenza emotiva, anche di diverse settimane o mesi di durata, che accompagna fisiologicamente ogni lutto grave, con un lutto complicato di valenza più problematica.

Abbiamo poi l “lutto traumatico“, ossia il lutto che si instaura a partire da un evento critico, come un decesso imprevisto e improvviso (come ad esempio un incidente stradale o un suicidio); anche se presenta profili di maggiore complessità, non necessariamente un lutto traumatico sfocia in un lutto complicato; spesso è comunque alla base di un trauma psicologico.

In situazioni di lutto complicato o lutto traumatico, può in certi casi essere utile un sostegno specifico.

La condivisione del proprio lutto, il parlarne e l’ottenimento di ascolto e comprensione sono fondamentali.

Ecco come il cinema ci aiuta a meglio inquadrare quel che succede.

Dal film “Come un uragano” di George C. Wolfe 2008: scena in cui la figlia sofferente per la separazione dei genitori e molto arrabbiata con la madre riesce a crescere avvicinandosi alla madre, comprendendola e recuperando il rapporto con lei. Inoltre con tale avvicinamento fatto di tenerezza e comprensione empatica, la figlia aiuta la madre ad iniziare l’elaborazione del lutto.          Redazione DimmiTiAscolto.

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