Quasi sempre la tristezza sembra insopportabile. Essa è una sofferenza che presenta diversi gradini in una scala che a volte pare interminabile. E’ un’emozione di certo fastidiosa e molto spesso difficile da gestire.
Il più delle volte, le persone fanno di tutto per scacciarla dalla propria vita. Questo vuol dire che non viene mai riconosciuta o espressa come si dovrebbe.
In realtà, è una reazione importante e naturale di fronte agli eventi difficili e a ciò che viene a mancare nella vita. Ci indica che abbiamo perso qualcosa o che dovremmo fare dei cambiamenti per affrontare le situazioni più complicate.
Quindi, va evitata o valorizzata?
Riflettiamo su quanto scrive Beatrice Bertoli, componente della redazione di DimmiTiAscolto, operatrice volontaria del nostro centro di ascolto e counsellor in formazione.

.
La nostra società vuole eliminare la sofferenza.
Chi è triste, e si trova in un gruppo, viene subito isolato ed etichettato come “strano”.
Chi è triste non ha il diritto di esserlo.
Arriva subito lo psichiatra che, a richiesta, scorrendo con l’ indice sul suo librone,
trova il rimedio, la pastiglia, quella che non ti fa sentire “escluso” dalla società.
Chi non si fa “curare” per la tristezza, viene tacciato come vigliacco, mentre chi si fa curare si dice che è “tanto malato”.
Ma la normalità non comprende la tristezza?
Quel sentimento dell’anima che ci fa capire chi siamo, ci indica la strada giusta da seguire, ci fa fare le scelte migliori.
E’ “triste” abolire la tristezza dalla faccia della terra.
Con essa si abolisce ogni diritto, per primo quello di essere umani.
Permettere la sofferenza significa permettere la crescita di ogni individuo.
La sofferenza è essa stessa la cura.
Beatrice Bertoli
.

–