di Annamaria Sudiero –
La parola è per metà di colui che parla, per metà di colui che l’ascolta.
Le parole sono importanti, le parole ci identificano. Siamo noi che diamo il nome alle cose per come le vediamo, per come le percepiamo attraverso il nostro sguardo. E solo nel momento in cui viene dato, quel nome esiste.
Se guardiamo alla Genesi, per chi ha fede o per chi nella Bibbia vede una portentosa narrazione, Dio nel momento in cui le creò diede anche il nome alle cose portanti, alle immensità: la terra, il cielo, il mare, la luce e il buio. Ma alla fine della creazione, dopo aver creato Adamo a Sua immagine e somiglianza, diede a lui il compito di dare il nome alle cose che l’uomo avrebbe dominato, che sarebbero state sotto il suo potere: animali, piante, fiori…
Ricorderete forse qualche anno fa la nascita, per descrivere un fiore con molti petali, di una nuova parola: “petaloso”. È stato Matteo, un bimbo di 8 anni, che volendo descrivere il fiore che aveva davanti l’ha così apostrofato. Non si può certo dire sia l’unico ad essersi accorto che molti dei fiori che da sempre conosciamo sono “petalosi”, ma solo lui ha sentito il bisogno di chiamarlo così ed ora possiamo tutti usufruire di questa parola.
Ma non sempre il nostro modo di vedere le cose è esatto e può ferire coloro a cui ci rivolgiamo. Si parla spesso del “politicamente corretto”, del “non si può più dire niente”. È vero, costa fatica adeguarci alle nuove terminologie, ma sono state adottate – o dovrebbero essere adottate – per rispettare gli individui a cui ci rivolgiamo.
Un esempio: la parola “disabile” significa persona a cui manca un’abilità ed è un termine in negativo. Noi la vediamo così, stiamo affermando che tale persona non è in grado di… La stiamo quindi escludendo da noi che invece, ai nostri occhi, siamo abili!
Ma non è del tutto vero! Siamo tutti disabili perché nessuno di noi ha il 100% delle abilità utili per vivere in questo mondo! Banalmente, anche chi porta gli occhiali può essere allora definito disabile!
È quindi “politicamente corretto”, anche se più difficile perché non ci siamo abituati, usare “diversamente abile” perché è una parola che include in quanto tutti possiamo ritenerci diversamente abili!
Per non parlare poi delle varie declinazioni al femminile! Perché, pur essendo termini già presenti nella nostra lingua, risulta così difficile chiamare una donna avvocata, architetta, assessora, ministra, sindaca… Però viene naturale chiamarla maestra, cuoca, bidella, infermiera, professoressa…?
È semplicemente un fatto culturale, non siamo abituati perché le donne nei lavori, diciamo così “umili” o riguardanti la cura delle persone, ci sono sempre state, mentre nelle “alte sfere” ci sono arrivate più tardi, ma qui si apre un’altra parentesi che non è il caso di affrontare ora!
Qualsiasi parola usiamo rivolta a chi ci sta di fronte dice come noi vediamo quella persona, non come quella persona effettivamente è o si sente.
Le persone nere – è corretto così e non “persone di colore” – non si sono autodefinite così da sole, ma si sono sentite definire tali per la prima volta dal primo bianco che le ha viste. Ma a cosa serve, per esempio in un titolo di giornale, specificare che… “il tal delinquente è un uomo di colore”, quando poi non si dice mai… “il tal delinquente è un uomo bianco”? Bianco o nero che sia, delinquente resta! Serve solo a far aumentare la rabbia e la discriminazione verso il “diverso”. Perché?
Pensiamoci, specialmente quando le nostre parole possono turbare o semplicemente infastidire chi le ascolta.
È sempre una questione di rispetto.
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Citazione by Michel de Montaigne
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