Spesso anziché parlare è meglio tacere, a meno che quanto si dice non sia migliore dello stesso silenzio
Nella recentissima uscita del nostro blog, abbiamo affermato che oltre al buon ascolto è indispensabile anche un buon parlare.
Pare anche questa una cosa ovvia, ma in realtà non è così che funziona.
Guardiamo nel piccolo e nel grande, nel facile e nel complesso, nel locale e nell’internazionale. Ormai tutto passa attraverso le pance di chi partecipa alla discussione. Reale o virtuale che sia. E ognuno si sente in diritto di esprimere quel che lo attraversa (nella pancia) anziché argomentare e contro argomentare mettendo il maggior equilibrio possibile tra razionalità ed emotività. Gli analizzatori, i razionali, gli intellettuali sono relegati a persone da isolare o bandire perché distinguono dalla pancia e non sempre divertono, anzi facilmente annoiano, stufano. Questo è vero, ma laddove prevalgono emotività e anche creatività – spesso – alla fine vincono le spinte peggiori degli umani.
Pensiamo alla pubblicità che presenta sempre di più filmati di alto livello artistico, ove si sfruttano effetti sentimentali ed emozionali, allo scopo di “vendere”, non certo di stimolare dibattito filosofico.
Pensiamo alle propagande, tra le quali periodicamente e frequentamente prevale la propaganda politica, che puntano direttamente alle pance delle persone per far scaturire malesseri e visioni che porterebbero all’aumento del cosiddetto consenso.
Invece, oggi c’è bisogno di ben altre medicine. Per esempio occorre uno nuovo inizio nell’uso delle parole e delle frasi che di parole sono fatte. Con le parole si uccide. Dice una brava (perché autentica) insegnante che le parole che uccidono non lasciano tracce visibili e per questo sono più subdole e dannose, inquinano e imbastardiscono la comunicazione, diventano macigni che possono schiacciare, in un attimo, le vite troppo fragili e indifese.
Esistono, oggi, parole usate ed abusate in una società che consuma tutto e purtroppo si consuma sacrificando per questo i suoi presupposti valoriali di unicità e ricchezza. Il mito della sicurezza e della sfrontatezza dei giovani appare una fragile corazza in un mondo di false e ambigue certezze.
Bisognerebbe riscoprire e insegnare il significato della vita e del suo contrario, riempire le parole di amore, vuotarle dal loro inutile e spesso dannoso conformismo che vuole a tutti i costi emarginare e condannare la diversità come fosse una nota stonata.
Per esempio la morte, magari violenta o auto imposta. La morte non è solo una notizia di cronaca che scuote l’opinione pubblica, è un messaggio inascoltato, un dolore inespresso e per questo più insopportabile, un gesto di estrema rinuncia.
Ricordiamoci che una società che non difende i più deboli è destinata ad una mutazione innaturale, una inversione di rotta che porta inevitabilmente alla perdita delle relazioni e del significato che le sottendono e le parole in questo contesto, possono diventare armi bianche in mano a bambini prepotenti e irresponsabili.
Un buon uso delle parole e delle frasi può aiutare molto.
Infatti, questo avviene se alle parole, queste sconosciute, affidiamo un compito educativo importante insegnando a tutti ed in particolare ai giovani un nuovo tipo di alfabeto, quello che restituisce alle emozioni e ai sentimenti il loro senso più profondo e la implicita relazione di appartenenza.
Citazione: aforisma rielaborato by GiFa su noto proverbio arabo
Immagine: Lesson by Pixabay
Riferimenti e brani nel testo: da brani di Laura Alberico, insegnante e collaboratrice di https://www.psicologiaedintorni.it/