“”Da professionista della relazione d’aiuto mi sono trovata spesso a saltare al di là della scrivania. E’ importante ovviamente il proprio ruolo, ma è più importante mettersi nei panni dell’altro.
Ogni persona ha una propria prospettiva e quindi non è detto che la prospettiva che ho io – anche se sono il volontario o l’assistente sociale – sia quella giusta. E’ importante mettersi in gioco sempre e confrontarsi anche quando le cose sembrano essere strane o prendere una piega inaspettata. Quel che conta è creare relazione e capire l’altro.
Poi è meglio lasciar fuori della porta i pregiudizi. Questi sono i blocchi principali. Essi bloccano la conoscenza dell’altro, ma la bella notizia è che noi possiamo bloccare i pregiudizi.
Bloccare i pregiudizi permette di dare ossigeno all’aspetto fondamentale della comunicazione autentica, l’Ascolto.
L’Ascolto è difficilissimo da praticare, quello vero intendo. Non quello che mi entra dalle orecchie per essere poi elaborato, ma quello che corrisponde al messaggio che l’altro mi vuole trasmettere. L’Ascolto è molto importante e l’altro “sente” se viene veramente ascoltato””.
(Ivana Ferrazzoli – da intervento a Trento presso C.S. Erickson su Guida Relazionale secondo il metodo RSW)
Ivana Ferrazzoli è Assistente Sociale. Lavora per il Dipartimento di Salute Mentale dell’Azienda Ospedaliera di Desenzano del Garda (BS). Collabora con l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano nella gestione dei Laboratori sulla disabilità. Si occupa da molti anni dei problemi nell’ambito della disabilità lavorando con le persone con disabilità e le loro famiglie; collabora con Associazioni di Volontariato ed Enti del terzo settore.
E’ un verbo affascinante, per quanto abusato. Di derivazione latina: communicare, mettere in comune, derivato di commune, propriamente, che compie il suo dovere con gli altri, composto di cum insieme e munis ufficio, incarico, dovere, funzione.
“Incredibile il valore di questa parola, ed incredibile la profondità intuitiva della sua etimologia. Consapevole delle proprie responsabilità e forte del proprio ruolo, la comunicazione è un’espressione sociale, un mettere un valore al servizio di qualcuno o qualcosa fuori da sé: non basta pronunciare, scrivere o disegnare per comunicare; la comunicazione avviene quando arriva, quando l’espressione è compresa e diventa patrimonio comune per la costruzione di una discussione, di un sapere, di una cultura. Propria di ogni essere vivente (chimica, comportamentale o sonora che sia), come umani abbiamo l’ulteriore responsabilità derivante da un linguaggio evolutivamente tardivo, fragile ma raffinatissimo che – noblesse oblige – non possiamo non usare al meglio per aver cura del nostro ambiente di vita, comunicando una cultura elevata nel nostro alto ufficio di ultimogeniti figli maggiori della Natura”.
“L’uomo che guarda fisso davanti a sé mentre fa colazione in una tavola calda affollata, o il passeggero d’aereo che siede con gli occhi chiusi, stanno entrambi comunicando che non vogliono parlare con nessuno né vogliono che si rivolga loro la parola, e i vicini di solito “afferrano il messaggio” rispondono in modo adeguato lasciandoli in pace. Questo, ovviamente, è proprio uno scambio di comunicazione nella stessa misura in cui lo è una discussione animata.” (Paul Watzlawick)
La comunicazione oggi abbisogna di una grande rivisitazione da parte di tutti, sia in famiglia (tradizionale o appartenente a nuove modalità) sia nella società e in azienda.
Una importante iniziativa è stata proposta nel corrente mese, a Firenze il 4 scorso, sotto forma di simposio internazionale: “I dialoghi del cambiamento – Il simposio per celebrare i trent’anni della fondazione del Centro di Terapia Strategica e i dieci anni dalla scomparsa del Maestro Paul Watzlawick“.
E infatti c’è bisogno di riprendere il filo del Dialogo e quindi del Cambiamento, attraverso la riscoperta della Comunicazione
Non è possibile proseguire in una società che si ritiene civilizzata e avanzata secondo i canoni dell’ “io contro tutti“, del “chi non è con me è contro di me“, un po’ autodistruttiva del tipo “muoia Sansone con tutti i Filistei ” (Libro dei Giudici). Più che canoni sono manifestazioni di pancia che nascono da pulsioni che rispondono a situazioni spesso personali di impotenza, paura e sfiducia e da conseguenti ribellioni verso qualche cosa di istituzionale che non è accettato.
Esempi chiarissimi e tremendamente dimostrativi di quanto affermato si possono correntemente trovare nel mondo del web e in particolare di facebook. Sono i cosiddetti social che di social hanno solo il nome, ma che mancano dei presupposti social: relazione con gli altri, confronto, rispetto delle persone e delle idee altrui, ecc.
Basta che una persona inserisca nel ciberspazio un qualsiasi parere su qualsiasi tema, non necessariamente politico, e si scatena il “lancio del fango”, per essere delicati nella definizione. Ma è così. E’ il cosiddetto “simulmondo” che condiziona pesantemente il reale.
C’è bisogno in generale di comunicazione non violenta, per esempio. Non è un caso che nelle scuole (non italiane) temi come questo siano tra gli insegnamenti di base.
Crediamo occorra ripartire dal Dialogo mettendo l’altro (Persona) al centro.
Cos’é il Dialogo?
La parola “dialogo” deriva dal greco ed è composta da due elementi: “dia” e “logos”. “Logos” significa parola, ragione, significato. “Dia” significa “in mezzo a”. Quindi dia-logos vuol dire che ragione o significato non sono il monopolio di una parte ma affiorano nel rapporto o nella comunicazione tra parti o agenti. Il logos qui è un logos condiviso e dipende in maniera cruciale dalla partecipazione di diverse o molte persone.
Questo ragionamento ci fa immaginare come ai giorni nostri sia o non sia presente una comunicazione partecipata. H.G. Gadamer può essere considerato il filosofo del dialogo per eccellenza per via della sua insistenza sul fatto che ogni incontro interpersonale dipenda da un dialogo in cui i partecipanti sono disposti a trasgredire la centralità del proprio essere nella direzione di una “fusione di orizzonti”.
Ben detto, ma oggi siamo lontanissimi da fondere gli orizzonti e quanto viviamo è sempre più un fenomeno “glocal”, che riguarda il nucleo famigliare, la coppia, il quartiere, la parrocchia, l’associazione, l’ente locale; riguarda anche la provincia, la regione, lo stato, la federazione, per noi la cosiddetta Unione Europea.
Pare siamo ad un punto di non ritorno. Vogliamo pensare invece che si possa rivisitare la comunicazione rivedendo gli stili di vita dei singoli e poi delle comunità. Occorre ripartire dal mettere la persona al centro e rilanciare il Dialogo, in una Comunicazione idonea che permetta a tutti di esprimersi e arricchirsi dal confronto rispettoso con gli altri.
Sta ai singoli, anche quando rappresentano comunità, “scegliere” di dare attenzione all’altro.
Eloquente il filmato – sull’uso odierno delle nuove tecnologie – che ci dice da un lato come si può essere sempre connessi con il mondo grazie allo smartphone e alla dipendenza dallo stesso, e dall’altro, nel contempo, come si riesca a “ignorare” la reale presenza degli altri, anche quando si tratta di persone molto importanti per noi.
L’attenzione verso l’altro, la vera attenzione, che poi si trasforma in Dialogo, è una scelta individuale che va valorizzata e ancor prima riscoperta.