Che cosa vuol dire “fragile” ce lo dice il latino da “frangere”: spezzarsi, rompersi. Si dice che qualcosa è fragile quando questo qualcosa ha strutturalmente la caratteristica di rompersi.
E un primo concetto che ci porta alla situazione descritta è proprio il concetto di “povertà”. L’E. Treccani spiega che “la povertà è un concetto allo stesso tempo intuitivo e ambiguo. Esso dipende dalla società cui si fa riferimento, ma anche dal punto di vista di chi è interessato alla sua definizione ed, eventualmente, alla sua misura. In origine il concetto di povertà è stato probabilmente associato alla preoccupazione di definire la distribuzione della ricchezza; ma, al contrario delle più raffinate misure distributive, esso si è imposto come una nozione intuitiva indipendente dall’esistenza di grandi diseguaglianze sociali. Più precisamente, il concetto di povertà è legato all’idea che è necessario raggiungere un livello minimo di reddito (o di altri diritti di uso o consumo dei beni) per poter vivere normalmente, ossia per non soffrire conseguenze inabilitanti sul piano fisico, o essere oggetto di ostracismo da parte degli altri membri della società”.
E la nostra società di riferimento, il nostro territorio quali segnali ci dà oggi su questo tema? Come possiamo stabilire un rapporto tra fragile e povero? Cominciamo a ragionarci su partendo da dati concreti e locali.
L’Alto vicentino è stato definito un’area ad alta coesione sociale. Orbene, grazie al lavoro della Cooperativa Samarcanda Onlus di Schio è stata svolta, con la collaborazione di diversi comuni e di diverse realtà associative locali, una indagine mirante a conoscere i nuovi profili della povertà.
Visto l’importanza del tema pubblichiamo nel nostro blog – in due puntate ravvicinate – un resoconto dell’indagine, a firma di un nostro operatore volontario, che ringraziamo, di quanto presentato dalla Cooperativa Samarcanda l’11 ottobre scorso in occasione della “Giornata mondiale di contrasto alla povertà” (La Redazione DTA).
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“Fino a pochi anni fa, nella nostra zona, la povertà veniva considerata un fenomeno del passato (che portò alle note emigrazioni) perché il 99% della popolazione, grazie allo sviluppo economico, si trovava in una condizione di benessere e coltivava aspettative di progresso per i figli.
La vera povertà era circoscritta a situazioni marginali che venivano affrontate con l’assistenza e le politiche del settore ritenevano di poter assorbire il fenomeno.
I censimenti dal 2001 al 2011 rilevano che solo una bassa percentuale delle famiglie versava in stato di bisogno.
Con la crisi economica iniziata nel 2008, è la situazione generale a farsi più allarmante: si affaccia il rischio di impoverimento, segnalato principalmente con la fatica ad ‘arrivare a fine mese’ o ad affrontare una spesa improvvisa o a pagare i costi della casa …
Che strumenti ha adottato lo Stato per affrontare il problema?
Nel 2017 il sostegno all’inclusione, nel 2018 il reddito di inclusione e nel 2019 il reddito di cittadinanza, che ha allargato la platea, grazie all’abbassamento dei valori ISEE.
Nei Comuni oggetto di indagine (Schio, Malo, Marano V., S. Vito di Leguzzano, Santorso, Thiene) solo quattro residenti su mille (4 su 1000) hanno fatto domanda per il reddito di cittadinanza: una percentuale che parrebbe non allarmante.
Ma gli strumenti quantitativi utilizzati dalle Istituzioni (comune, Inps, ecc.) sono adeguati a cogliere i processi sommersi di impoverimento?
Domanda cruciale se si considera che quelli che si rivolgono al volontariato sono in realtà molti di più di quelli rilevati dalle statistiche” [segue].
Gianfranco Brazzale
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