
“E’ il più terrificante dei sentimenti rendersi conto che il medico non sa capire quello che senti, non ti vede, e che sta andando avanti di testa sua.
Cominciavo a sentire di essere invisibile e forse di non esserci nemmeno.”
(Ronald Laing)
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Il titolo del paragrafo è “ascolto autentico” perché desidero far prevalere questo aggettivo all’usuale “attivo”, pure importante. Anzi partiamo da quest’ultimo.
L’ascolto empatico, ecco un’altra aggettivazione, prevede “attività”. Ciò significa non solo ascoltare le parole dell’interlocutore, ma anche leggere i segnali del corpo, il paraverbale e il non verbale. Leggere i silenzi, i suoni, i trasalimenti.
Significa interloquire con domande mirate di chiarimento, di incoraggiamento, di specificazione al fine di acquisire chiarezza rispetto allo stato d’animo dell’altro e offrirgli feedback .
L’”autenticità” dell’ascolto va oltre l’ascolto attivo, e si raggiunge allorché chi guida entra in contatto pieno con l’intimo dell’altro, riesce a essere insieme nella distanza, ciascuno da sé e per sé e allo stesso tempo insieme.
In quello spazio, il campo, tutto è fluido e spontaneo e può realizzarsi da parte dell’interlocutore il “colpo perfetto: tutto ciò che è, diventa uno” (Scena: vedere il campo, da “La leggenda di Bagger Vance”).
Ascoltare autenticamente diventa quindi non solo importante, ma decisivo per la fase iniziale di aiuto sia in termini di consultazione e quindi capire “lo stato d’animo” dell’interlocutore sia per produrre empatia ulteriore.
L’impegno empatico che parte dall’ascolto autentico presenta una valore di grande rilievo.
L’essere umano è in perenne attesa di attenzione, di un “tu” che venga ad accoglierlo e a salvarlo, a renderlo integro, capace così di affrontare le sfide della vita.
L’ascolto autentico, allora, altro non è che l’ascolto profondo e rispettoso della sofferenza e del dolore altrui.
In effetti che si tratti di una perdita di un famigliare, di un parente, oppure della perdita del lavoro, oppure di una separazione coniugale, oppure della partenza da casa dell’unico figlio, sempre dolore è. Sempre di distacco e di sofferenza parliamo.
Lo stesso vale per gli altri sentimenti anche belli come la gioia e la felicità, ma di norma non è richiesto aiuto per questi sentimenti.
Emozioni come la rabbia, la paura, l’ansia, la tristezza, possono invece essere oggetto di ascolto, un ascolto che può dare a tali fastidiose emozioni una lettura utile per chi le prova e ne patisce.
Ora nel caso del dolore, avviene che chi chiede aiuto è chiuso in se stesso, è rintanato in una gabbia di solitudine e isolamento, il cui chiavistello è dato dalla diffidenza più potente emulsionata da una paura che teme la vita e prevede nuove ferite.
Come è possibile sfondare tale muro invisibile, ma fortemente condizionante?
Con accoglienza e rispetto verso la diversità, per il vissuto, per le emozioni positive o negative che siano, per le ferite e i peccati, per il disordine.
Rispetto e accoglienza per i valori e le credenze manifestate.
Sono l’accoglienza, l’ascolto autentico e alla fine l’empatia che sfondano il muro invisibile.
(Gianni Faccin – da “Motivazione comunitaria e counselling – Un caso concreto” – 2013)