“Silenzio e poesia vanno a braccetto: credo che nessun poeta sia sfuggito a questo collegamento, da D’Annunzio (che inizia con “Taci” la sua poesia più famosa, “La pioggia nel pineto”) a Montale (“Non chiederci la parola”), da Neruda (“Mi piaci quando taci”) alla Merini (“Ho bisogno di silenzio”), tanto per restare nel Novecento.
E’ dal silenzio che nasce la poesia, nel silenzio essa ritorna.
Ce l’ha nelle parole: in questa lirica della Pozzi, si sposano notte e silenzio (“silenzio oscuro”), ed è la notte il tempo in cui il mondo tace. Ma “muoiono le tue note” e perfino c’è un “suono spento” che si solleva nel cielo. Tutte metafore o immagini per il silenzio.
Ma c’è anche un silenzio strutturale: il verso, quando va a capo, impone una pausa che, per quanto breve o brevissima, interrompe la lettura, impone uno stacco, dunque crea un silenzio. Di più: il verso, quando ha metriche diverse, impedisce la cantabilità, come qui, dove si passa dal trisillabo all’endecasillabo, frantumando dunque anche il ritmo. Ancora di più: la Pozzi, come la Dickinson (che di questa modalità fa una vera e propria cifra stilistica), aggiunge delle lineette, spacca il verso al suo interno, interrompe ulteriormente la lettura. A questi silenzi, a queste pause, a queste interruzioni, non si può sfuggire: la poesia riesce, nella sua natura, a rendere essenziale non solo la parola ed il discorso, ma anche l’assenza di entrambi. (Gianluigi Coltri)
“Curva tu suoni ed il tuo canto è un albero d’argento nel silenzio oscuro.
Limpido nasce dal tuo labbro – il profilo delle vette – nel buio .
Muoiono le tue note come gocce assorbite dalla terra.
Le nebbie sopra gli abissi percorse dal vento sollevano il suono spento
nel cielo”.
(“Notturno”, di Antonia Pozzi, da “Tutte le opere”)
Notte su Ponte Vecchio Firenze – Foto gianni.f